Il libro sul processo di colpa media al quale ho fatto riferimento è: P. BAGNOLI, Reato di cura, 2016.
Vi giro una importante considerazione dell'avv. Caiazza, presidente UCPI, sul processo del ponte Morandi di Genova.
LA ISTRUTTIVA PARABOLA DEL PROCESSO SUL PONTE MORANDI
Va ringraziato Ermes Antonucci per aver saputo dare con grande efficacia risalto, sul Foglio di qualche giorno fa, a quanto accaduto nel corso di una delle tante udienze in svolgimento davanti al Tribunale di Genova nel processo per il tragico crollo del Ponte Morandi. La cronaca di quella udienza, infatti, basta da sola a fotografare con straordinaria precisione la distanza sempre più profonda che si va creando nel nostro Paese tra ciò che un processo penale dovrebbe essere, nel rispetto delle regole costituzionali ed ordinarie che lo istituiscono e lo governano, e ciò che si vorrebbe invece che diventi (e che purtroppo per molti versi è già da tempo diventato). Ma è una cronaca che ci fa capire soprattutto quale sia l’unica garanzia che ci possa salvare da questa montante deriva illiberale: e cioè l’indipendenza, la libertà morale e l’autorevolezza del Giudice.
La cronaca riferisce di una “tensione altissima” e di un “durissimo botta e risposta tra la pubblica accusa ed il collegio giudicante”, che nasce da una intemerata del P.M. il quale, azzardando un po' di calcoli sul numero dei testimoni ancora da esaminare ed il ritmo delle udienze, prevede che l’istruttoria dibattimentale possa concludersi non prima del dicembre 2025, quando “alcuni dei reati più gravi” potrebbero essere già prescritti, sollecitando perciò un drastico cambio di passo. Inutile dire che la stampa si butta a pesce sul ghiotto scenario, sin da ora allestendo il solito copione della giustizia negata, della prescrizione strumento di salvezza dei ricchi e dei potenti, eccetera eccetera. Il Presidente del Collegio, dott. Paolo Lepri, sulle prime si limita a giudicare troppo allarmistiche ed ingenerose le previsioni del P.M.; poi, la mattina successiva (ci avrà riflettuto la notte), ritorna sulla questione, definisce quello del PM un “proclama offensivo nei confronti del Tribunale” (che ha sospeso la trattazione ordinaria della gran parte degli altri processi, per celebrare questo!), e tocca finalmente il punto, che in questa come in altre analoghe vicende processuali viene sistematicamente ignorato. Se si ha così a cuore l’aspettativa di una tempestiva risposta giudiziaria ad una simile tragedia, dice in sostanza il Presidente, “magari bisognava effettuare scelte processuali diverse e non contestare, ad esempio, un milione di falsi”. E poi conclude, tranciante: “Se poi in quest’aula c’è qualcuno che ritiene che le sentenze si facciano senza processo, sbaglia”. Gancio ed uppercut, si direbbe in gergo pugilistico.
Non può sfuggire il valore paradigmatico di questo accadimento, che va ben oltre la singola vicenda processuale, la quale ha peraltro tutti i crismi della parabola. Gli ingredienti ci sono tutti: processo di enorme impatto mediatico, chiarissima ed univoca aspettativa di condanne esemplari e possibilmente indiscriminate, diritti delle vittime dei reati percepiti e rappresentati come totalmente ed incondizionatamente prevalenti sui diritti di difesa degli imputati, e sulla loro presunzione costituzionale di non colpevolezza. Sullo sfondo, la fosca ed un po' prematura previsione di una prescrizione salvifica. Sono già pronti i forconi, insomma. Ma ecco, d’improvviso e -ahinoi, diciamoci la verità- inatteso, un Giudice che -pur in un processo ad altissima esposizione mediatica- fa, imperterrito, il Giudice. Il quale innanzitutto sposta l’asse di quella lamentela del PM, come sempre occorrerebbe fare ma nessuno mai fa. Cominciamo a ragionare piuttosto -dice- su quanto siano durate le indagini, e se le scelte operate dalla Procura nell’esercizio dell’azione penale abbiano prudentemente saputo considerare la dimensione e l’impatto del costrutto accusatorio anche sui tempi del conseguente processo. Se si individuano 60 imputati e decine e decine di imputazioni (“un milione di falsi”), protraendo le indagini per anni, poi non si pretenda che gli imputati non si difendano con tutta la pienezza dei propri diritti. Ma è la seconda affermazione che merita ancora più ammirazione e plauso: questo Tribunale non è disposto a pronunciare sentenze senza processo. Nessuno si illuda -dice insomma quel Giudice- di fare pressioni indebite, paventando populisticamente scenari drammatici che si vorrebbe addossare, alla fin fine, alla responsabilità del Tribunale da un lato, e del diritto di difesa degli imputati dall’altro. Parole dure e taglienti come la lama di un coltello, che rimettono -come si suol dire- la chiesa al centro del villaggio. E che danno d’improvviso la esatta dimensione della solennità quasi sacrale di ciò che il Giudice può e deve saper rappresentare nel giudizio penale, e dunque della indispensabilità della sua indipendenza da ogni forma di condizionamento, da ogni riflesso conformistico e corrivo, da ogni forma di sudditanza nei confronti di tutte le parti processuali. Ma è anche motivo di profonda malinconia, perché quando questa epifania del giudice si avvera, essa ci appare come una notizia straordinaria, quando invece dovrebbe essere una noiosa e scontata ovvietà. Ma il destino delle parabole è proprio questo: farti comprendere, quasi raccontandoti una favola, l’amara durezza della realtà nella quale ti trovi a vivere.